Sull’Amiata, nelle lunghe sere d’ inverno, si narrano storie e leggende di tempi lontani. Tra le più ascoltate la favola del drago di Santa Fiora (ovvero del “Cifero serpente”, come dice la tradizione). I frati del convento della Selva, vicino a Santa Fiora, si erano accorti da tempo della presenza nei boschi di un gigantesco drago, che non solo mangiava mucche, pecore ed altri animali, ma anche uomini. Fiamme e fumi densi uscivano da quelle fauci e spesso si avevano grandi incendi di boschi.
A quei tempi erano padroni di Santa Fiora le famiglie Aldobrandeschi e Bosio Sforza. Da un matrimonio intervenuto fra principi di queste due famiglie, era nato il giovane conte Guido, molto amato dal popolo. I frati chiesero aiuto a lui, che provò ad attrezzarsi con corazze, lance ed archibugi, cercando di sconfiggere da solo il drago. Ritornò salvo per miracolo dalla furia del drago. Disse che occorrevano validi rinforzi.
L’unico personaggio che avrebbe potuto dirigere una operazione del genere era il mago di Arcidosso, il famoso mago Merlino, che aveva preso dimora da tempo in una grotta sulla strada che da Arcidosso porta a S.Lorenzo. Merlino univa ai suoi poteri di magia, anche una grande fama e considerazione di uomo saggio e potente. Non fu difficile per lui chiamare il cavalier Giorgio, il grande combattente cristiano, le cui imprese militari a favore della fede erano largamente conosciute. Chiamato dal Mago Merlino, giunse ad Arcidosso il cavalier Giorgio, che fu subito ospitato dal conte Guido di Santa Fiora e dai frati del convento della Selva.
Organizzarono un piano per incastrare il drago: alcuni giovani frati si misero a ballare e a cantare davanti all’ ingresso della grotta, come esca perchè il drago venisse fuori, dove avrebbe trovato la sorpresa che gli era stata preparata. Il drago uscì imbestialito e fumante. Ma dall’ alto di un grande castagno, una scarica di frecce e di lance si abbattè su di lui. Un colpo di lancia del cavalier Giorgio finì per sempre quel mostro sanguinario, che tanto male aveva procurato alla mite gente dell’ Amiata.
Nella sagrestia della chiesa della Trinità, che fa parte del convento della Selva, i frati fanno ancora vedere, a conferma della veridicità della storia, una mascella mostruosa che era quella del drago. Forse si tratta di una mascella di coccodrillo, trofeo di caccia di qualche personaggio locale, ma forse non è il caso di dissacrare una così suggestiva leggenda.